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Biografia Nato a Dossena nel 1946 da famiglia contadina, autodidatta, cominciò a dipingere sin da bambino per frequentare poi i corsi di decorazione della scuola d’arte Andrea Fantoni di Bergamo. Nel 1967 lo troviamo in Etiopia dove lavora al restauro di alcune chiese con l’arch. Sandro Angelini e si trasferisce poi in Libia a Bengasi dove collabora con il pittore Heinrich Steiner alla decorazione della moschea di Shabbi. Dal 1970 si dedica alla pittura allestendo mostre personali e partecipando a numerose collettive in Italia e all’estero. Sarà tra l’altro l’ideatore della realizzazione di alcuni murales a Dossena, Valtorta e San Pellegrino. Morirà tragicamente nel 1986. |
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Stile Nel suo itinerario artistico Alcaini, partito dal figurativo classico, approda ben presto al naïf e in tal senso è considerato il maggior rappresentante bergamasco del genere. Ma la critica, in una molteplicità di giudizi che testimonia la complessità della sua apparentemente facile pittura, riscontra di volta in volta accostamenti con il realismo, l’espressionismo, il surrealismo. Quello su cui tutti concordano è la sua anima popolare, il suo profondo attaccamento alla Valle, la sua capacità di rendersi interprete del mondo, della cultura e della sensibilità della nostra gente. Nei suoi quadri Alcaini rievoca scene, avvenimenti, luoghi dell’infanzia da cui traspaiono i valori umani, familiari e religiosi più autentici della Val Brembana, ormai sul punto di essere travolti dalla frenesia della modernità. |
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Dal suo pennello escono immagini struggenti di un mondo e di una vita che erano il “nostro” mondo, la “nostra” vita: la bambina col cerchio, il bambino con la slitta, il piccolo bracconiere con l’archetto, la corsa nei sacchi, Santa Lucia, gli aquiloni, l’incendio della stalla, il falò sotto la luna, la pausa dei minatori, i vecchi, la “bega” di paese, i giocatori di “mura”, la raccolta della legna, l’uccisione del maiale, la strozzatura della gallina, la concimatura dei campi, la fienagione, la mungitura, la contrada, le rovine di una baita, la Mascherata di carnevale, la processione, l’Angelus, le Figlie di Maria, la Natività ambientata in un casolare o la Crocifissione sullo sfondo delle nostre montagne. Come a dire le scarse gioie, i drammi, gli affanni, la fede, il lavoro di una gente semplice colta nelle manifestazioni del suo quotidiano, con il corpo piegato dalla fatica, i volti scavati ed attoniti, i bambini assorti in poveri giochi ad imitazione del lavoro dei grandi. |
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E in tal senso Alcaini si rivela, oltre che grande pittore, poeta di altissima sensibilità, lasciandoci un messaggio intriso di bellezza e malinconia. Lo sfondo costante delle nostre montagne, l’azzurro intenso del cielo, il bianco soffice e candido della neve, il verde smagliante dei prati appena tagliati, il rosso fuoco degli incendi e quello cupo dei tramonti. E poi quei gesti, quei volti, quelle facce quadrate, scolpite, autentiche maschere. Attori di una rappresentazione che è quella di un mondo in via di estinzione, minacciato dall’abbandono, dal cemento, dall’inscatolamento, dagli artigli di un mostro meccanico in cui Alcaini vede un certo tipo di modernità. Un esempio insomma di pittura che parla direttamente al cuore, al sentimento. E che forse solo chi è brembano può veramente sentire e interpretare in tutto il suo significato. (da F. Riceputi, Storia della Valle Brembana. Il Novecento) |