Il Seicento a Bergamo
All’inizio del Secento a Bergamo si sviluppa una scuola pittorica che pur mostrando interesse per la cultura milanese (nel Cinquecento è Venezia il punto di riferimento) mantiene una propria identità. Santa Maria Maggiore è e continuerà ad essere per il Seicento il cantiere cui far riferimento, gli artisti che vi lavorano sono per lo più forestieri (Padovanino, Nuvolone, Ricchi in seguito Liberi, Ferri…). I pittori locali protagonisti fino agli anni della peste risultano essere quattro: Enea Salmeggia che, prendendo spunto dal Luini e dal Moretto, elabora “uno stile colto, attento ai dettami della controriforma e ai precetti sull’arte di Federico Borromeo”; Giovanni Paolo Cavagna che risente della cultura veneta, secondo il Tassi è stato allievo del Tiziano e si concentra su “attenzione al dato reale, audaci accostamenti cromatici, coinvolgimento emotivo del fedele, attenzione all’aspetto psicologico”; Francesco Zucco la cui pittura ha la finalità di far meditare il fedele e Gian Paolo Lolmo. Il gran numero di artisti esterni determina a Bergamo varietà di stili e orientamenti ma nessuno diventa un “caposcuola”. In provincia c’è la tendenza da parte della committenza ad attingere a pittori che hanno lavorato in Santa Maria Maggiore.
E’ lo studio delle opere di due importanti pittori attivi tra la terza e la settima decade del ‘600, Evaristo Baschenis e Carlo Ceresa che ha permesso di individuare le caratteristiche del “’600 bergamasco”. Essi emergono dal provincialismo e nello stesso tempo hanno saputo dare continuità alla pittura locale tenendola lontana dagli influssi forestieri e barocchi. La loro opera è il riflesso di un modo di esprimersi basato sull’osservazione della realtà. Il Baschenis, che conosce la pittura milanese, parte dalla rappresentazione della realtà e si dedica soprattutto alla natura morta, in pochi casi inserisce ritratti che ci riportano al Ceresa. Nelle sue composizioni varia la posizione degli oggetti raggiungendo soluzioni complesse con risultati di alta qualità pittorica e grande naturalismo. Lo stile del Ceresa è caratterizzato da spiccato naturalismo, intensa devozionalità, gusto per i particolari, capacità introspettiva e utilizzo della luce come elemento espressivo.
Carlo Ceresa (1609-1679)
La vita
Carlo Ceresa nasce a San Giovanni Bianco il 20 gennaio 1609 da Ambrogio, proveniente dalla Valsassina, e da Caterina Maurizio di Oltre il Colle. La sua vocazione artistica si manifesta in giovane età; non sono noti i maestri o le scuole presso cui potrebbe avere studiato. La terribile peste del 1630 lo vede costretto a rifugiarsi in luoghi sperduti per evitare il contagio. Nel 1635 sposa Caterina Zignoni e va ad abitare a Grabbia, frazione di San Giovanni Bianco. Dal matrimonio nascono undici figli, sei dei quali muoiono in tenera età; due intraprendono la carriera ecclesiastica, due quella paterna e uno diventa notaio. Le numerose commesse gli permettono di vivere agiatamente e negli anni ’60 si trasferisce con la famiglia a Bergamo dove muore il 30 gennaio 1679. Il Tassi lo descrive come uomo di ottimi costumi, esattissimo di parola e puntuale nel mantenerla, serio e di poche parole. Il Ceresa e' uno di quei pittori che va guardato e riguardato per comprenderne la singolare bellezza che eleva a valore universale i gesti, le fisionomie, i sentimenti, la vita del suo tempo e del suo luogo, San Giovanni Bianco, la Valle, la Lombardia. A distanza di quattro secoli i suoi personaggi ci sembrano ancora volti famigliari ed i valori della famiglia, della solidarietà, della religione che essi esprimono sono valori dell'umanità intera.
L’opera
Probabilmente autodidatta, la formazione del Ceresa parte dalla conoscenza della tradizione bresciana e bergamasca. All’inizio della sua attività non mostra una solida cultura figurativa, tanto che per il sacro utilizza modelli tardo cinquecenteschi tra Goltzius e Barocci. Il ritratto invece lo trova più preparato perché vive in ambiente favorevole alla ritrattistica e per la sua naturale propensione a rendere i volti in pittura. La morte dei tre maggiori maestri bergamaschi (Cavagna, Salmeggia e Zucco), la disponibilità finanziaria, dovuta a numerosi lasciti delle vittime della peste, a favore di confraternite, preti, conventi ecc., aprono al Ceresa molte possibilità lavorative. Tra il 1631 e il 1633 il salto stilistico evidente nelle sue opere fa pensare al contatto con esperienze figurative diverse, in particolare ad un soggiorno veneziano, mentre le opere intorno al 1640 evidenziano un’espressione pienamente autonoma e una maturità linguistica raggiunta probabilmente per l’acquisita padronanza dei mezzi e per il contatto con le opere di Daniele Crespi che opera a Milano sino al 1630. Da questo momento il Ceresa non ha più necessità di seguire modelli o maestri e ciò si traduce nella produzione di opere di grande livello; verso il quinto decennio, la committenza poco incline alle novità iconografiche, la mole di lavoro a cui deve far fronte, determinano un periodo nel quale il pittore riserva il suo impegno solo per alcune opere, per altre è ripetitivo o ne affida l’esecuzione ai figli.
Ceresa ritrattista
Il Ceresa occupa un ruolo centrale nella ritrattistica del Seicento italiano. Nelle sue opere sono evidenti una straordinaria impronta naturalistica, grande realismo, resa dettagliata dei costumi, notevole essenzialità. I suoi esordi, la rappresentazione degli offerenti nelle pale, sono precoci e denotano una grande capacità di introspezione caratteristica di tutti i suoi ritratti; raffigura i personaggi con un taglio ravvicinato e la posizione frontale, lo sfondo ridotto all’essenziale. Per il Ceresa non è la ricchezza dell’abito a dar valore al ritratto, non basta dipingere in modo somigliante, occorre dare sentimento e far emergere il carattere della persona e questo a lui riesce meravigliosamente, aiutato dalle sue capacità di cogliere l’essenza della persona e restituircele in pittura attraverso il volto, le mani che parlano del personaggio e la luce che utilizza come forte elemento espressivo.
Ceresa sacro
Dopo le incertezze degli esordi anche nella pittura sacra Carlo Ceresa rivela uno stile inconfondibile, caratterizzato dall’adesione al naturale e da modelli in linea con la teoria controriformistica del cardinale Borromeo che denotano compostezza e devozione. Più che nelle grandi chiese cittadine il Ceresa gode di ampio consenso nelle Confraternite che trovano spazio nelle valli. Per questa committenza realizza numerose pale legate al culto della Madonna del Rosario, delle anime purganti, dei Santi Sebastiano, Rocco, Bernardino da Siena e Carlo Borromeo invocati contro la peste, Antonio di Padova, Nicola da Tolentino contro le malattie, la Passione e l’Angelo custode. Nelle pitture del Ceresa esiste un rapporto tra la ritrattistica e il sacro che si manifesta nell’introduzione del donatore nei ritratti e nella dimensione terrena dei Santi che spesso sono il ritratto di parenti e conoscenti.