Alessandro Patelli, il diciannovenne che domenica 8 agosto sul portone di casa, in via Novelli a Bergamo, ha assassinato per futili motivi con sei coltellate il tunisino Marwen Tayari residente da anni in Italia, a passeggio con la moglie e le sue due figlie: minacciato di morte in carcere dai connazionali della sua vittima, è stato trasferito ieri mattina in altro non meglio identificato centro di detenzione in attesa del processo.
Una ragazzina quindicenne a Treviglio, in una corte di via Bernardino Butinone, nella notte tra sabato 14 e domenica 15 agosto ha colpito la madre Manuela Guerini con un coltello da cucina, uccidendola sul colpo, al termine di un banale litigio in famiglia. Il fratello della vittima, l’operaio trevigliese Mirko Guerini, non intende tuttavia lasciar sola la nipote: «Mi prenderò cura di lei, nel ricordo di mia sorella Manuela».
Era il due gennaio di quest’anno quando a Dalmine, nel cortile del Ristorante “Il Carroccio”, il titolare ed ex esponente della Lega Nord Franco Colleoni è stato assassinato dal figlio trentaquattrenne Francesco, rinviato a giudizio immediato davanti alla Corte d’Assise di Bergamo, alla sbarra dal giugno scorso con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela.
Questi non sono che gli ultimi fatti di sangue in terra bergamasca, brutali omicidi praticamente senza moventi solidi, espressioni di violenza cieca che proprio per la mancanza di una spiegazione classica rappresentano un inquietante indice di degrado dei rapporti umani e sociali.
A fare da terreno di coltura forse hanno contribuito le regole spietate che l’umanità, dopo aver perduto da molto tempo i valori più etici e profondi, ha diffuso come modelli di comportamento, in modo così capillare da infrangere i recinti protettivi alzati da sempre dalle famiglie e dal tessuto delle regole morali largamente condivise.
O forse il contributo più determinante deriva dalla rivoluzione nelle abitudini, soprattutto quelle giovanili, a seguito delle regole coercitive anti CoViD che hanno di fatto sottratto gli spazi di socialità, di confronto e di partecipazione, armando i soggetti più fragili di un’aggressività ed un’insofferenza al limite dell’esasperazione.
È pur vero che la corteccia cerebrale dei giovani sia più sottile e quindi più sensibile e reattiva alle sollecitazioni rispetto a quella degli adulti, ma ciò non basta a far perdere la capacità di parlare, di ragionare, di mediare, di riflettere, di capire le posizioni dell’altro: gli adolescenti, immaturi per definizione, oggi sono comunque molto più «svegli» e «scafati» che in passato.
Psichiatrici, psicologi, psicanalisti, sociologi, criminologi e specialisti di questa o quella branca della scienza che studia la mente umana avranno le loro dotte risposte ai quesiti che ci facciamo ad ogni fatto di sangue che deturpa quella immagine di equilibrio e di serenità nella quale amiamo rifugiarci.
Eppure l’orrore passa prima di essere riusciti a chiederci che cosa possiamo fare noi per evitare simili tragedie: accusare, recriminare, emettere giudizi sommari serve a poco, forse solo a concimare un terreno capace di produrre banali pregiudizi e facili luoghi comuni.
Solo tornando ad insegnare il significato di reale responsabilità, a promuovere un senso di collettività vero e universale, a coltivare una coscienza che riconosca il valore dell’altro e il rispetto reciproco, avremo qualche possibilità di interrompere la spirale della violenza, ma si dovrà partire dal ripristino dei fondamenti, educando all’ascolto, al dialogo, al confronto ed al controllo delle proprie reazioni.
Tutto ciò presuppone un contatto fisico e visivo immediato, diretto, senza alcuna deleteria intermediazione virtuale, ma anche il ripristino del concetto sempre valido di rispetto dei ruoli e dell’autorità, andato perduto da mezzo secolo a questa parte.
Sarebbe ingiusto, osservando il mondo giovanile, vedere un bicchiere del tutto vuoto. Ci sono molti ragazzi, molto più numerosi di quanto si immagini, tra i volontari di tutte le organizzazioni che si interessano di ambiente, di territorio, di disagio sociale, di assistenza a bimbi ed anziani.
Questo è il caso di 13 ragazzi tra i 16 e i 20 anni che in questa estate ad Alzano Lombardo provvederanno a ripulire e rendere fiorita un’area nei pressi della fermata TEB. L’iniziativa s’inquadra nel “Progetto Giovani” promosso dal Comune e dalla cooperativa Aeper, che ha l’obiettivo di far conoscere ai ragazzi zone del paese da valorizzare, come sta succedendo in piazza Caduti di Nassiriya, di recente illuminata a giorno dal Comune, una piazza da pulire di fino e liberare da erbacce, cosi come i parcheggi limitrofi.
L’impegno di lavoro per ciascun partecipante è inferiore alle dieci ore settimanali e viene compensato con cinque euro all’ora, una cifra modesta che non è tuttavia il principale incentivo per questi ragazzi, il cui numero è sempre in crescita, motivati tutti dal desiderio di contribuire a rendere più accogliente e vivibile la propria cittadina.
Mercoledì, 18 agosto 2021