Le attuali linee guida sul trattamento dei sintomatici non ospedalizzati fissate dal Ministro della Salute Roberto Speranza già nello scorso anno non sembra siano servite fino ad oggi a contenere i ricoveri, ma sono invece ancora ritenute valide dall’attuale governo, dal Comitato Tecnico Scientifico che lo affianca e dall’Agenzia Italiana del Farmaco: il protocollo prevede quale trattamento domiciliare una “vigile attesa” e comuni farmaci antipiretici come paracetamolo o Tachipirina. Niente vitamine e niente aerosol, niente idrossiclorochina, niente ivermectina né tantomeno gli antibiotici.
Ai primi segni di aggravamento, quindi, immediato ricovero nelle strutture sanitarie già sotto pressione, fino alla Terapia Intensiva. Pur ammettendo per carità di Patria che certe decisioni siano frutto di semplice ignoranza e ingenua buonafede ed escludendo per gli stessi motivi di carità che vi sia invece un diffuso asservimento ad interessi estranei alla salute pubblica, c’è da chiedersi perché non si voglia alleggerire il carico sulle strutture sanitarie intervenendo a domicilio nello stadio precoce dell’infezione, quando con pochi euro ed in solo qualche giorno si può ottenere la perfetta guarigione del malato.
La terapia non è un’invenzione di qualche ottuso terrapiattista, ma è frutto di un’intuizione ed una scoperta del bergamasco professor Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e della sua squadra di ricercatori sotto la spinta propulsiva del professor Fredy Suter, già Primario di Malattie Infettive del nostro Ospedale Papa Giovanni XXIII.
Secondo Remuzzi, se diagnosticata in tempi brevi e nella fase precoce l’infezione da coronavirus è facilmente curabile come si cura qualunque altra infezione delle alte vie respiratorie e cioè con dei semplici antinfiammatori, quali l’Aspirina, il nimesulide fino al “Celecoxib” ed al cortisone: la premessa è una visita domiciliare o una valutazione telefonica da parte del medico, che prescriverà l’antinfiammatorio più adatto seguendo poi il paziente e modificando eventualmente la terapia in base alla evoluzione della malattia.
Lo stesso Remuzzi racconta come si è arrivati a definire un’efficace terapia contro il CoViD-19: «abbiamo seguito 90 pazienti che avevamo curato con antinfiammatori e di cui avevamo tutte le informazioni e li abbiamo confrontati con 90 pazienti con identiche caratteristiche di età, sesso, comorbilità, sintomi e trattati come prescritto dall’autorità, con tachipirina e vigile attesa».
I risultati sono stati sorprendenti: 90% di riduzione dei giorni di ospedalizzazione e 90% di riduzione dei costi, mentre non si è ridotta la durata dei sintomi rispetto alla cura tradizionale, ma i numeri di ricoveri sono stati ben diversi, ossia due su 90 fra i pazienti trattati con antinfiammatori e 13 fra gli altri 90.
Appare del tutto evidente che limitarsi alla “vigile attesa” è quanto di più sbagliato si possa concepire, perché il virus si moltiplica rapidamente nei primi sei giorni dall’inizio dei sintomi, per poi rallentare la moltiplicazione con il graduale rischio di complicazioni. Tempestività essenziale anche per l’uso di anticorpi monoclonali, che funzionano se vengono somministrati entro 10 giorni dall’inizio della malattia, mentre in caso contrario non producono alcun effetto.
La “guerra” contro il CoViD si deve combattere con tutte le armi a disposizione, a partire dalla prevenzione rappresentata dal distanziamento, dalla mascherina e dalla pulizia delle mani, a cui il lockdown non aggiunge proprio nulla, ma servono soprattutto cure che siano semplici ed efficaci ed infine l’immunizzazione vaccinale e l’immunità che si ottiene dagli anticorpi prodotti dal corpo umano che ha superato la malattia.
«Questo virus è difficile da controllare perché con le varianti si diffonde molto rapidamente – conclude il professor Remuzzi -, ma non dimentichiamo che ogni anno l’influenza fa dagli 8 ai 20 mila morti nella sola Italia e questo pochissimi lo sanno e non suscita nessuna emotività».
Mercoledì, 7 aprile 2021