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Vivere e lavorare in montagna: la nuova sfida per i giovani

In fuga dalla città per lavorare in montagna, in alcune regioni italiane i giovani cambiano vita e dopo lo spopolamento, si torna nei piccoli comuni come scelta esistenziale.
Si delinea un’Italia tutt’altro che in fuga dalle aree remote e di una emergenza sanitaria che le ha rese ancora più attrattive. “Non è più vero che la montagna italiana è fatta solo di spopolamento, crisi, tracollo demografico, invecchiamento. Dalle ricerche che portiamo avanti da oltre dieci anni ci siamo resi conto che possiamo parlare di una inversione di tendenza”. A sostenerlo è il sociologo Andrea Membretti. Insegnante all’Università di Pavia è fra i promotori dell’associazione Dislivelli e tra i fondatori di Riabitare l’Italia; insieme con altri colleghi ha creato dei servizi ad hoc, come quello esistente da alcuni anni a Torino, “Vieni a vivere in montagna”, sostenuto dalla Città Metropolitana e che orienta le persone determinate a insediarsi sulle Alpi. “Ne ho incontrati 150 negli ultimi tempi – racconta Membretti – e solo in questi tre mesi sono state 75 le candidature online. Hanno storie e vite molto diverse, ma unite da motivazioni simili: cambiare orizzonte, sfuggire dai ritmi frenetici della città e ritrovare qualità della vita a contatto con la natura”.
Sono soprattutto, ma non solo, giovani, hanno buoni titoli di studio, un po’ di risorse economiche per reinventarsi – vendendo l’abitazione comprata in città o investendo la liquidazione – ed idee innovative da mettere alla prova. Membretti prosegue: “C’è un ottimo equilibrio fra uomini e donne, spesso sono scelte individuali che riguardano persone single o anche separate, ma costituire un nucleo è decisivo per la riuscita dell’operazione”. Quelli che ci riescono non sono molti. “La strada – chiarisce infatti il sociologo – è piena di ostacoli. La percentuale di successo non supera il 10 per cento perché bisogna avere non solo conoscenze ma anche competenze spendibili. Stiamo molto lavorando su questo aspetto perché l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha aumentato la “domanda di montagna”, ma non vogliamo che si creino illusioni”.

I dati Istat parlano di più di 7 milioni di persone residenti sopra i 600 metri di altitudine. Su mille giovani fra i 18 e i 39 anni di chi in montagna è nato e cresciuto e non l’ha abbandonata, quattro giovani su dieci frequentano o hanno frequentato l’Università, più della metà ha vissuto qualche tempo in città e anche all’estero, due su tre lavorano e la stessa quota è composta da chi vuole restare con un progetto di lavoro spesso legato all’agricoltura o all’allevamento. C’è chi alleva capre, ma non solo per i formaggi e produce maglioni di cachemire; chi trasforma baite in laboratori di energia sostenibile e produce fondi di sci in materiale biodegradabile ricavato dalla canapa di montagna; chi alleva ricercatissimi cani da montagna, chi offre eventi culturali insieme a ricettività turistica e da eccellenze enogastronomiche.
Necessario evidenziare che a vivere meglio sono i nuclei e le coppie in cui almeno uno mantiene un lavoro “normale” e quindi possono contare su un reddito certo. Se si è da soli si funziona di più se polivalenti, svolgendo magari un lavoro per ogni stagione. Certo è che andare a vivere in montagna è una scommessa molto più faticosa che romantica e il lavoro è comunque da inventare.

Martedì, 9 febbraio 2021

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