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Inquinamento acustico nemico della fauna selvatica

Che l’inquinamento acustico sia un nemico della fauna selvatica, oltre che della salute umana, non è una novità. In particolare, la fonte più invasiva di rumore deriva proprio dai trasporti: ci sono prove (e studi) crescenti sui danni provocati agli animali dai clacson delle auto o dai rombi delle moto. Gli effetti variano a seconda della specie, sebbene, in generale, il rumore interferisce con l’alimentazione, la caccia e il comportamento riproduttivo della fauna. L’ultimo rapporto sul rumore ambientale in Europa, pubblicato dall’Agenzia europea dell’Ambiente, oltre a concentrarsi sugli effetti dell’inquinamento acustico sulla salute umana, evidenzia anche questo aspetto e rivela come gli effetti del rumore sulla fauna selvatica possano manifestarsi sia nelle risposte fisiologiche che nelle risposte comportamentali.

Rumori ad alta quota
Ma cosa succede nelle nostre montagne? «Qui – spiega Raffaele Marini, presidente della Commissione centrale per la tutela dell’ambiente montano del Cai (Cai-Tam) – abitano animali molto delicati, come fagiani di monte, pernici bianche, camosci e stambecchi. A essere particolarmente deleteri sono i rumori violenti e improvvisi che spaventano gli animali. Questo vale sia per gli ambienti alpini che per quelli appenninici. Pensiamo al rumore provocato dai mezzi motorizzati sui sentieri o dagli elicotteri. Il tema degli effetti dell’inquinamento acustico sulla fauna, poi, diventa particolarmente delicato in inverno, cioè quando gli animali hanno maggiore bisogno di tranquillità. Per esempio molto impattante è la pratica dell’heliski, cioè lo sci fuoripista e freeride che si serve di un elicottero come mezzo di risalita».

Stress e indebolimento
Per quanto riguarda le risposte fisiologiche all’inquinamento acustico, alcuni studi hanno osservato che il rumore può causare stress, danni all’udito e una riduzione nella risposta del sistema immunitario negli animali. Per esempio, uno studio condotto in Francia ha dimostrato che il rumore del traffico produce risposte di stress nelle rane che possono alterare il loro metabolismo e il sistema immunitario, nonché la colorazione del sacco vocale. Anche i volatili hanno mostrato segni di stress cronico, con livelli di ormone dello stress alterati, distrazione e ipervigilanza, se esposti all’inquinamento acustico.

Comportamento insolito
Esistono, poi, una serie di risposte comportamentali causate dal rumore sugli animali che incidono sul sonno, sul movimento nello spazio, sull’alimentazione, sulla comunicazione, sulla riproduzione e sulla difesa del territorio. Per esempio, è stato dimostrato che gli uccelli evitano i luoghi con alti livelli di rumore del traffico, poiché si ritiene che il rumore delle strade renda più difficile individuare i predatori mascherando il loro canto. Queste risposte fisiologiche e comportamentali possono portare a un ridotto successo riproduttivo, all’aumento del rischio di mortalità e all’emigrazione, con conseguente riduzione della densità di popolazione. «I rumori violenti e improvvisi sono molto dannosi anche nel periodo dello svezzamento: i piccoli possono allontanarsi dalle madri, con il rischio di non ritrovarle più e di perdere contatto con il proprio areale», aggiunge Marini.

Vuoto normativo
A causa delle differenze tra specie e tra caratteristiche di rumore, è stato difficile stabilire uno standard che eviti conseguenze ecologiche, sebbene, almeno per gli ambienti terrestri, siano stati documentati effetti negativi anche per bassi livelli di rumore, tra 40 e 50 decibel (dB). Attualmente non esiste una legislazione Ue specifica sul rumore volta a proteggere la fauna terrestre dall’esposizione ad esso. Gli obblighi previsti dalla Direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale si concentrano principalmente sulla riduzione dell’impatto dell’inquinamento acustico sulla salute e sul benessere umano, ma gli indicatori usati sono basati sull’uomo e potrebbero non essere del tutto confrontabili con quelli utilizzati per valutare gli impatti del rumore sugli animali. La direttiva, inoltre, pur riconoscendo la necessità di preservare aree di buona qualità acustica, denominate “zone tranquille”, per proteggere il paesaggio sonoro europeo, non crea un collegamento con la fauna selvatica.

Natura 2000 non basta
Esistono altre direttive, come la Direttiva Habitat (Ue, 1992) e Direttiva Uccelli (Ue, 2009), che contribuiscono entrambe alla rete Natura 2000, che possono indirettamente avere un impatto positivo sul clima acustico delle aree naturali, ma non sono sufficienti. Le aree rumorose o relativamente rumorose rappresentano il 33% del territorio europeo (escluse Croazia e Turchia). Inoltre, si stima che circa il 19% dei siti della rete Natura 2000 si trovi in zone considerate rumorose. La conservazione delle condizioni acustiche naturali andrebbe considerata maggiormente per limitare la perdita di biodiversità. «Si dà per scontato – puntualizza Marini – che l’attività umana condotta nei siti della rete Natura 2000 non debba danneggiare la conservazione della fauna. Purtroppo, però, non si fa esplicito riferimento al rumore e c’è chi ne approfitta: se non è vietato è lecito. Per questo sarebbe importante introdurre norme ancora più specifiche».

Intervenire subito
Con le previsioni di rapida crescita urbana e del conseguente aumento della domanda di trasporti, è possibile stimare un aumento simultaneo dell’esposizione al rumore e, quindi, degli effetti negativi ad esso associati. Per questo è fondamentale mettere in atto politiche che tutelino la nostra salute e quella della fauna selvatica nell’immediato.

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