Erano i primi anni ’70, Giangavino ed io, entrambi amici di Feltri, avevamo deciso di tentare di conquistare il posto di prestigio alla pagina di Bergamo del quotidiano del pomeriggio “La Notte” da dove Vittorio stava spiccando il volo verso una luminosa carriera.
Avevamo entrambi un appuntamento a Milano con Nino Nutrizio, allora direttore del quotidiano di Carlo Pesenti, che ci esaminò separatamente e mi chiese di presentare nei giorni successivi tutta la documentazione necessaria per l’assunzione.
Per un complicato gioco del destino fui costretto a rinunciare alla grossa opportunità offertami ed il posto alla Notte fu quindi assegnato a Sulas, con sua mai negata sorpresa: in un programma televisivo al quale entrambi partecipammo il 15 dicembre 2015, ritornò sull’argomento senza tuttavia riuscire ad appagare la propria curiosità.
Giangavino Sulas è un grande esempio di giornalista d’inchiesta, appassionato della propria missione, la ricerca della verità, dotato di attributi e per nulla preoccupato di assecondare l’opinione pubblica.
Se n’è andato con discrezione, a 77 anni, con la sua innata misura ed eleganza di modi, ieri all’Humanitas Gavazzeni dove era ricoverato da tempo, dopo aver combattuto e perso la sua lunga battaglia contro un tumore. Lascia la moglie ed i figli Roberta e Marco ed un grande vuoto nel giornalismo bergamasco.
Originario della Sardegna ma adottato fin da giovane dalla sua Bergamo, è stato una delle firme del settimanale “Oggi” e ha pubblicato di recente un libro: “Sonzogno I misteri romani”. Di ogni caso seguito, di ogni delitto, di ogni processo o mistero, Sulas ricordava fino al più piccolo dettaglio, dal caso di Sarah Scazzi a quello di Yara Gambirasio.
A darne l’annuncio a “Quarto grado” su Retequattro è stato lo stesso conduttore Gianluigi Nuzzi, che per anni ha ospitato Sulas nel suo programma:«Caro Giangavino, te ne sei andato in punta di piedi, sempre secondo il tuo stile di uomo gentile, cronista di altri tempi, senza mai rinunciare a esprimere le tue idee, talvolta in solitudine», aggiungendo che il mestiere di giornalista significa anche ironia, autoironia ed arguzia nell’osservare la commedia della vita e di questo Sulas era maestro.
Quando un lutto riguarda chi ha fatto parte in qualche modo della propria vita l’abito del giornalista diventa stretto: per questo voglio salutarti a modo mio, caro Giangavino, senza retorica, con la semplicità che si usa tra vecchi amici, ben sapendo che chi lascia un segno profondo del proprio cammino in realtà non muore mai, esattamente così come chi lascia eredità d’affetti.
Enrico Scarpellini
Sabato, 26 giugno 2021