Abbiamo atteso per tanto tempo questo giorno che, come sempre avviene, oggi si fa fatica anche a festeggiare la riconquistata semilibertà. Nell’aria si respira ancora incertezza, l’eccesso di fiducia riposto nella campagna vaccinale ha dovuto subire un duro colpo dopo l’ammissione che esistono seri problemi con i prodotti a vettore virale come AstraZeneca e Johnson & Johnson, la pianificazione faticosamente calibrata delle inoculazioni deve in pratica essere rifatta tenendo conto di nuovo delle fasce di età under 60 che fino a settimana scorsa non rappresentavano più un problema.
Ma a risentirne soprattutto è lo spirito con il quale la popolazione affrontava fino a pochi giorni fa il vaccino quale unico e più rapido strumento per sentirsi immuni da contagi e spiacevoli altre conseguenze: significativo ieri è stato il flop nella bergamasca di «AstraDay», l’iniziativa di Regione Lombardia pensata per gli under 60 che si sono presentati agli hub in poche decine su un totale di quasi quattromila soggetti individuati dalla Regione.
L’esperienza di questi giorni, abbandonando gli isterismi ed il facile sconcerto, insegna che non si potrà combattere la guerra al CoViD con una sola arma di massa, ma che si dovrà coinvolgere con sempre maggiore incisività la medicina di base e del territorio alla quale dovrà essere affidato il compito di ricorrere anche alle cure precoci ed ai farmaci alternativi quando l’AIFA e la consorteria burotecnica si saranno rassegnati a fornire le necessarie autorizzazioni.
Esaminando i dati del report settimanale si può notare che nella Bergamasca si sono verificati 26 nuovi casi di positività e un solo decesso, con un’incidenza dei nuovi positivi ogni 100 mila abitanti pari a 17. Nella città di Bergamo tutti gli ingressi al pronto soccorso dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo sono tornati ai valori pre-pandemia mentre la Casa di cura San Francesco e l’Istituto Palazzolo sono ormai “CoViD free”, così come l’Istituto clinico Quarenghi di San Pellegrino.
Buona parte d’Italia, con 40 milioni e mezzo di italiani, praticamente due su tre, da oggi è finalmente in «zona bianca» con le gradite conseguenze che questa attribuzione burocratica comporta: restrizioni ridotte al minimo, fine del coprifuoco, riapertura di locali ed esercizi rimasti bloccati per mesi. Restano in vigore praticamente solo i precetti di base, come l’obbligo del distanziamento personale di almeno un metro, l’utilizzo della mascherina, l’igienizzazione delle mani e il divieto di assembramento, sia all’aperto che al chiuso.
Nelle zone bianche è consentito organizzare feste private collegate a cerimonie religiose o civili, matrimoni, cresime, comunioni, battesimi ma anche compleanni, feste di laurea e anniversari. Si potrà però partecipare solo se in possesso del “green pass”: certificato di vaccinazione, valido fino a nove mesi dopo il completamento dell’intero ciclo oppure dal 15° giorno dopo la prima dose fino alla somministrazione della seconda; certificato di guarigione, che ha validità sei mesi; tampone negativo effettuato nelle 48 ore precedenti la partecipazione all’evento.
In ogni caso fino al 21 giugno, quindi ancora per una settimana, il consumo al tavolo negli spazi al chiuso è consentito per le attività dei servizi di ristorazione per un massimo di sei persone per tavolo, salvo che siano tutti conviventi, mentre resteranno ancora sospese le attività che si svolgono in sale da ballo, discoteche e locali simili, sia al chiuso che all’aperto.
Nelle discoteche si potrà dunque bere e mangiare, magari ascoltando musica, ma non si potrà ballare in pista, rendendo di fatto problematico l’esercizio della loro tipica attività. Secondo il ministero tutte queste cautele sono dettate dalla necessità di contrastare la diffusione della variante Alpha e di altre a maggiore trasmissibilità o comunque resistenti alla risposta immunitaria.
Lunedì, 14 giugno 2021